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Homepage > CULTURA > NATURA/SCIENZA > A caccia di balene nel deserto occidentale egiziano
giugno 10, 2017  |  By Giuseppe Rivalta In NATURA/SCIENZA

A caccia di balene nel deserto occidentale egiziano

337 scheletro di Basilosauro (particolare )

Egitto:  150  chilometri  a sud-ovest  de  Il Cairo,  deserto  occidentale:  29°23’29.44 N – 30°02’41.59 E,  quota .263 m slm.  Queste sono  le  coordinate di  uno  dei  rarissimi posti sul  pianeta  dove  risulta possibile  incontrare  i grandi progenitori  delle balene:  Wadi Al-Hitan, ovvero  la Valle  delle Balene. Curiosamente in pieno deserto, in un angolo poco battuto del Sahara orientale. Qui  nell’Eocene, tra i  40  ed  i 37  milioni  di  anni  fa, tutta  la  zona  era un fondale  dell’immenso  oceano  della Tetide,  situato  tra il futuro Atlantico,  il Nord Africa, il  Sud Europa e che si  allungava  fino  all’attuale Indo-Pacifico. I Dinosauri ed i  grandi  rettili  marini  erano  scomparsi circa 5 milioni  di  anni prima e,  come  spesso  accade, avevano lasciato  libere  diverse  nicchie ecologiche. Una  di  queste era stata ben presto  occupata da  gruppi  di  mammiferi,  che da  terrestri  iniziavano  ad adattarsi  a  vivere  nei mari  e  negli oceani: gli  Archeoceti, ovvero “vecchie balene” (da Flower 1883).

Grandi Nummoliti
Grandi Nummoliti

Una domanda ha assillato per  molto  tempo gli  scienziati: come è  stato possibile ad organismi  terrestri  adattarsi  così  compiutamente  ad  una  vita  totalmente  marina? Ancora    non  si può  dare  una risposta  certa,  tuttavia oggi una  delle teorie più  accreditate, suffragata  da  una  scoperta avvenuta  nel  1983 in Pakistan (nel bacino  dell’Indo), sostiene  quanto  segue: alla  fine  del  Cretaceo la  zolla  indiana  stava ormai  terminando la sua risalita  dal Sud Africa verso il  continente asiatico, stritolando progressivamente l’Oceano  Tetide e  provocando la formazione della catena himalayana. Quell’oceano antico, caldo,  si  caratterizzava,  in  molte sue  parti, da  coste basse e salmastre,  con  grande  sviluppo  di  Mangrovie ( una formazione  vegetale  tipicamente  tropicale  che  si  sviluppa  su  bassi  fondali) ed anche oggi largamente diffuse. Si tratta di piante alofile sottoposte al  ciclo  giornaliero  delle  maree, dalle quali vengono   in parte sommerse.  In queste vere e proprie basse foreste si  sviluppa un  complesso  ecosistema, con  abbondanti  faune  di  diverse  dimensioni  e  funzioni . Proprio  in un  tale  habitat (specialmente  dopo  la  scomparsa  dei  grandi  rettili mesozoici) dei piccoli  e timidi  mammiferi, ad  abitudini  terrestri, iniziarono  a  svilupparsi: erano i progenitori  dei  futuri  grandi cetacei.  Il Pakicetus inachus, ancora  sicuramente  terrestre ( così identificato  per  il  suo  apparato  uditivo) viveva  in  questo  ambiente rappresentato  da  vaste  fasce acquitrinose dove, verosimilmente,  si  cibava  di  crostacei, pesci, molluschi, insetti.

Resti scheletrici del Dorudon atrox
Resti scheletrici del Dorudon atrox

Il progressivo prosciugamento di  questi  habitat, dovuto alla  riduzione  della Tetide, fece  sì  che  questi mammiferi   (ancora  secondo un’ipotesi) si  adattassero  sempre  più  ad  una  vita  acquatica, favorita  da  immancabili  mutazioni  genetiche,  più  favorevoli  ad un  tale  nuovo  habitat prettamente  acquatico. L’evoluzione  di  queste  nuove specie  fu  assolutamente rapida,  anche  perché, come  già  accennato,  nei  mari  non  c’erano più  i  terribili  Mosasauri, Plesiosauri,  ecc. che  li  avrebbero  forse sterminati. Tutto  ciò  avveniva  all’inizio  del  periodo  dell’Eocene.  In Egitto,  nella zona  dell’attuale  depressione  di El Fayyum, venne scoperto nell’inverno del 1902 quello  che sarebbe diventato il  maggior  giacimento paleontologico  di  Archeoceti del mondo. Qui, in questa  che a quei  tempi  era  una  laguna circondata  da mangrovie,  sono  stati  scoperti oltre 500  resti  scheletrici di  progenitori  dei  cetacei, con  almeno  tre specie  diverse presenti. L’ambiente  era, evidentemente,  ideale  per  il loro  accoppiamento e  riproduzione,  come  del  resto oggi  si osservano in  tante  altre  località  del pianeta. Quello  che  fu un basso  mare caldo è poi diventato una  grande  superficie  di  deserto  assoluto,  i  cui  bassi  rilievi altro  non  sono  che  strati  di  rocce  sedimentarie  fossilifere, da  cui  spuntano  migliaia  di  conchiglie  marine, blocchi  di  rami  cilindrici  di  antiche  mangrovie e  resti ossei  di quelli  che  furono i progenitori  dei  cetacei, oltre a  squali  e tartarughe. Il luogo risulta  battuto perennemente dal  vento,  capace di spostare e di erodere la roccia ed  i  granelli  di sabbia,  i quali  in origine altro non  erano se non la  melma  di  quel  mare preistorico. Inoltre la  drastica  variazione  del  calore prodotto  dal  sole  dardeggiante si  confronta  con  il  freddo  notturno tipico  del  deserto sahariano,  aumentando la trasformazione  del  paesaggio.

Gruppo di mangrovie fossili
Gruppo di Mangrovie fossili

I fossili di Wadi Al-Hitan. Analizziamo ora in maniera necessariamente sintetica le  principali  specie  venute alla  luce  a Wadi  Al-Hitan. Senza  dubbio  il  fossile più  impressionante  è il  cosi detto  Basilosaurus isis  (noto  anche  come Zeuglodon). Il nome  gli  venne attribuito da Richard Harlan nel 1834, il quale  ritenne  di  aver scoperto un grosso  rettile  preistorico, in Arkansas. Fu l’inglese Owen ( colui  che  aveva coniato il  termine  Dinosauro) che si  rese  conto  trattarsi  non  di un rettile, bensì di un  mammifero marino, ma il  suffisso  saurus, ormai  rimase.  Nel  2015  é  venuto  alla  luce uno  scheletro  completo di  questo  animale, lungo  18  metri. Era  un  grande  predatore dal  corpo  serpentiforme, capace di  pesare   tra le 5 e le 7 tonnellate. Il collo era  corto, con 7 vertebre  che  saldavano il capo  al tronco, molto  flessuoso. Aveva  una  appendice caudale orizzontale, mentre  gli arti anteriori  erano  trasformati in pinne. Mancavano la  pinna  dorsale e  gli  arti posteriori ( regrediti  quasi  completamente). Le  narici erano  presenti  sulla  sommità  del  muso (non  ancora  però  sul  cranio). I denti (in numero di  44) nella  porzione posteriore si presentavano con  creste seghettate e adatti a  frantumare  le ossa , mentre le  parti  anteriori  delle  mascelle  avevano  dei  denti appuntiti rivolti  all’interno, per meglio  trattenere  le  vittime. Grazie alla scoperta  dell’esemplare  del  2015  si è  notato  che la  coda  era  provvista  di  aculei, simili a  quelle  dello Stegosauro. In altri  termini queste spine  potevano  essere usate come arma  di  difesa. L’alimentazione  era  basata su  granchi, pesci, squali (es. Pesce sega), oltre  anche  a  piccoli  cetacei. Queste  informazioni si  sono potute  desumere  analizzando  i  resti  trovati  nello  stomaco  del  fossile da poco scoperto . Come  pura   curiosità in Canada, nel  British  Columbia, all’interno  del  lago Okanagan lungo 135 km, i criptozoologi  ritengono  possa  esistere un mostro lacustre  simile al  Basilosauro, chiamato localmente Ogopago (=N’ha-a-itk dai  nativi). Vi sono anche alcuni  graffiti antichi   che  raffigurano una creatura  serpentiforme.

Paesaggio di Wadi Al Hitan
Paesaggio di  Wadi Al Hitan

Nel 1926 fu  avvistato l’Ogopago  da molte  insospettabili  persone, come  fu  scritto  sul giornale Vancouver Sun. Questa  notizia fu pubblicata ancor prima  che  venisse avvistato  Nessie, il  Mostro  di  Loch Ness. Un altro fossile del sito egiziano è  il  Dorudon atrox,  un  archeocete lungo  circa 5 metri. Gli  esemplari  scoperti sono  in gran parte  costituiti  da  individui giovani. Per  questa  ragione  si  suppone  che  l’area  in esame fosse  un  luogo  dove, dopo  gli accoppiamenti,  avvenissero  i  parti. Evidentemente   questi  mammiferi (come  del  resto  gli  attuali cetacei) prediligevano  le  zone  di  acque basse e  riparate per  procreare. Un certo  numero  di   crani  di  giovani Dorudon  presentano  dei  fori coincidenti perfettamente  con i segni lasciati  dai  denti  dei terribili Basilosauri. Dalla forma del  cranio si  desume  che fossero  tra i  più primitivi, anche  perché  non  era presente  il  rigonfiamento  sotto  cui  poteva esistere  l’organo  della ecolocazione. Secondo  alcuni  studiosi  questi  mammiferi potrebbero essere  stati i progenitori  dei  moderni  cetacei. Le specie identificate sono l’ atrox ed il  serratus, oltre  all’osiris e zigorhiza. Questi  Dorudon, come  i Basilosauri, erano  forti  predatori. Una terza specie è l’ Ancalecetus simonsi. Si tratta di un  basilosauride  di  medie  dimensioni, lungo  quasi  sei metri. Poche sono le  parti  anatomiche  rinvenute,  tuttavia  si  nota  una  scapola che mostra una probabile prosecuzione cartilaginea, tipica  degli  attuali cetacei. Dall’usura dei  denti si  è osservato  che doveva  cibarsi  di  pesci, i quali però  dovevano  essere  preventivamente  masticati prima di  ingoiarli. E’ un esemplare  dell’Eocene superiore (Priaboniano). Oltre  ai  fossili  di  Archeoceti,  a Wadi  Al-Hitan  sono  stati  scoperti resti  di  primitivi  sirenidi ed  anche  un  antenato  dell’elefante: il Moeritherium. Era  un  mammifero  lungo  quasi  tre  metri, con un  muso  simile a quello  del  tapiro e  forse  fornito  di una  piccola  proboscide.  Si  nutriva  di piante acquatiche, vivendo  su  queste  zone  paludose. Fossili  di Moeritherium sono  stati scoperti  anche  in  Mali e Senegal.

L'area paleontologica diWadi Al Hitan
L’area paleontologica di Wadi Al Hitan

In tutta l’area  paleontologica  vi  sono  estesi  affioramenti di  mangrovie  fossili. Inoltre sono presenti  tre  diverse  formazioni  geologiche, tutte  eoceniche. Queste  rocce  sono  rispettivamente di  calcare  marnoso bianco  ed  argilla  gessosa, tipica  di  un basso  fondale costiero. A queste rocce si  associa  una  seconda  formazione  in  cui  sono  stati  rinvenuti i  fossili  di  Archeoceti, assieme a resti  di squali (presente  una  mascella di  Pesce sega), tartarughe e  coccodrilli. L’età  di  queste  due  formazioni  è  di 41-40  milioni  di  anni da oggi. Un terzo  gruppo di  rocce più recenti (39 milioni di  anni da oggi) copre  le  due  precedenti ed  è  ricchissima  di  faune  di  molluschi,  nummuliti (grandi  foraminiferi – protozoi) dalle tipiche  forme discoidali. A tale  riguardo  il  termine   latino nummulus significa  monetina e  i  calcari  nummulitici , molto  diffusi in  Egitto,  furono  utilizzati  dai  faraoni per  costruire  le  piramidi.   Per la  particolarità  e  per  la  quantità  di  reperti  fossili  venuti  alla luce, il  Wadi Al-Hitan  è  stato  inserito nei World Heritage Site dall’ UNESCO come  il posto più importante al  mondo per  la presenza  degli  Archeoceti e  quindi per la  possibilità  di  studio  sull’evoluzione  dei  cetacei.

Fossile di Basilosauro, parte caudale
Fossile di Basilosauro, parte caudale

Dall’inizio  del  2016 sul  sito paleontologico  è  stato  costruito  un  museo, il quale costituisce  la  prima  esposizione permanente  del  medio  oriente   interamente  dedicato  ai  fossili. Questa struttura è  stata finanziata  dall’Italia con  2 miliardi  di  euro (da Venet’s Magazine), che  già  prima  del  2012 aveva  contribuito  alla realizzazione  del  sito  con il contributo  scientifico  del  Parco  Nazionale  del  Gran Sasso insieme  all’Università  del  Michigan (USA). All’interno  della  struttura  museale, di  forma  rotonda,  spicca  uno scheletro di  basilosauro lungo una  ventina  di  metri, oltre ad altri  fossili e  manufatti  in  selce,  testimonianze  queste   della presenza  umana di  migliaia di  anni  fa, di quando cioè il Sahara era verde e c’erano  fiumi, laghi  e  foreste.  Senza  dubbio  questo  sito  merita  una  accurata  visita da parte  dei  turisti  e  degli  studiosi  poiché,  nonostante  le    ricerche   condottevi,  offre ancora sempre  nuovi  spunti  ed  osservazioni. Quando  ammiriamo  le attuali  balene  e  le  confrontiamo  con quelle  fossili  da  cui  son  derivate,  sembra quasi impossibile che quei  primi  organismi  si  siano  così  radicalmente  trasformati, ma  il bello della Natura  è che non  finirà  mai  di  stupirci.

Testo/foto Giuseppe Rivalta


 

 

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