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Homepage > TURISMO > MONDO > Gerewol, festival della vanità dei pastori nomadi nel Ciad
giugno 10, 2019  |  By Anna Maria Arnesano In MONDO

Gerewol, festival della vanità dei pastori nomadi nel Ciad

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Era da parecchio tempo che desideravo assistere al Gerewol, una feste più autentiche e genuine dell’Africa sub-sahariana.  A settembre, alla fine della stagione delle piogge, i pastori nomadi Wodaabe, dell’etnia dei Fulani del Niger, si danno un appuntamento di più giorni con tutta la famiglia e le relative mandrie di buoi dalle lunga corna – il loro principale capitale- per scambiarsi notizie, rinsaldare i vincoli tribali, fare mercato ed approvvigionarsi di prodotti, con ampio corollario di corse dei cammelli,  informazioni sui pascoli, corteggiamenti e discussioni sulle doti.  Per i giovani maschi costituisce l’occasione di presentarsi in società, con una danza tradizionale chiamata Yaake dove cantano e ballano fino all’esaurimento, acconciati in maniera davvero elaborata ed originale nel corpo e nel viso.  Al termine i più belli o i più intraprendenti vengono scelti come sposi dalle ragazze nubili, attente spettatrici non disinteressate, e tutti partono verso la transumanza, dandosi appuntamento per l’anno successivo.

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Eravamo alla fine degli anni ’90 e viaggiatori provenienti dal Niger favoleggiavano di questa festa che si svolgeva nel verde effimero del deserto, tra dune e alberi di acacie.  Ma ogni volta un problema diverso mi impediva di partire, finchè il Niger divenne tanto pericoloso che di Gerewol non si parlò più.   Assistere allo stesso spettacolo in Ciad ? L’idea non mi allettava. Temevo fosse meno autentico, una roba turistica messa in piedi dai tour operator. Alla fine,  però, la curiosità ha finito per prevalere e sono partita per il Ciad. E’ il primo giorno, siamo appena arrivati e dopo avere montato le tende vicino ai loro sudu, cominciamo ad aggirarci per il campo.  Io non fotografo, mi limito a guardare e cercare di assorbire l’atmosfera.  La prima cosa a colpirmi è il loro amore per il bello.  Non hanno case, non hanno tende, dispongono  soltanto di  queste piccolissime strutture fatte di stuoie montate su pali,  sulle quali stanno allineati in bell’ordine i loro recipienti,  ed  all’ interno delle quali fanno dormire i bambini e gli ammalati. Guardo curiosa calabasses e cesti. Le calabasses si presentano incise con motivi ornamentali, i cesti decorati con striscioline multicolori,  ottenute cucendo insieme pezzetti di plastica colorata.  Con i rifiuti della nostra società, specchietti, flaconcini di collirio vuoti, bottoni, ritagli di plastica fanno ornamenti per sé e per i propri utensili, dando prova di un gusto e di una creatività da lasciare stupiti.

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Seguo il lavoro delle donne.  Con dita energiche, ma delicate,  mungono le mammelle delle vacche. Basta mezza calabasse di latte. Subito dopo riaccostano il vitellino,  affinchè  venga allattato.  Penso  non esista luogo al mondo dove queste bestie possano risultare più felici.  Pascolano in libertà, rarissimamente sono vendute o uccise, allattano i loro piccoli.  Bellissime, hanno manti tanto screziati da sembrare anch’esse dipinte e tatuate a bella posta, e le corna lunghe e rotonde hanno forma di luna.  Il latte non viene venduto al mercato o bevuto, ma viene messo in una calabasse a forma di bottiglia e là viene scosso con un movimento ritmico per circa due ore, finchè diventa burro.  Questo burro, mescolato alla farina di sorgo o di miglio, costituirà la loro  dieta base.  Le donne hanno una pettinatura complicata:  un ciuffo che partendo dalla fronte arriva fino alla nuca,  dove viene intrecciato in una specie di chignon.

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Gli uomini, invece, si rasano la fronte in modo da apparire più alta.  La fronte alta ed i denti  bianchissimi, puliti in continuazione  con un apposito bastoncino, costituiscono un elemento primario di bellezza.  Mentre i guerrieri si allenano in un galoppo sfrenato con i cavalli  i giovani, col viso truccato, cominciano a danzare.  Gli anziani li correggono e li incoraggiano, partecipi, affettuosi.  La tenerezza degli uomini,  ecco un’ altra cosa a colpirmi quasi subito.  Ci sono uomini  più o meno anziani con in braccio bambini e li guardano con la dolcezza e l’attenzione  riservate alle cose ed agli esseri più preziosi.  Uno in particolare ci commuove.  Cerca di insegnare ad alcune di noi i passi di danza eseguiti dai ragazzi e, contemporaneamente, tiene sulle spalle una bambina.  E’ una nipotina ?  Chissà.   Ma intanto mi viene in mente un detto dell’ Africa Occidentale “ gli Antenati ci portano sulle loro spalle”.  C’ è un legame di solidarietà tra le vecchie e le nuove generazioni  quasi palpabile,  e dà il senso di una comunità viva e coesa, nonostante le difficoltà.

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Il secondo giorno il campo risulta più animato. L’imbarazzo reciproco si è in gran parte dissipato.  Noi fotografiamo loro ed i ragazzi, dotati di cellulari antidiluviani, fotografano noi finchè, ad un certo punto, non si capisce più chi fotografa chi.  Sono arrivate nuove famiglie ed i giovani fanno capannelli.  Il linguaggio del corpo esprime le stesse cose che si dicono i loro coetanei di tutto il mondo, quando si ritrovano dopo le vacanze estive: la gioia di ritrovarsi, le domande su cosa è successo nei lunghissimi mesi in cui non ci si è visti.  Predominano risate, allegria, voglia di comunicare.  Fisicamente sono bellissimi.  Alti, asciutti, hanno visi dai lineamenti così delicati da sembrare ragazze.  Sui visi le scarificazioni creano un ornamento permanente.  I Wodabee sono di cultura orale e quindi risulta fondamentale che il corpo parli e racconti una storia. Senza scarificazioni il viso sarebbe nudo come una tela bianca,  che in mancanza di segni perde ogni significato.

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Arriva finalmente il buio della sera. E’ il momento tanto atteso per il Gerewol.  I ragazzi si sono truccati, pettinati con elaborate acconciature, vestiti ed adornati in uno scintillio di specchietti e lamè.  Intorno alla testa hanno turbanti bianchi adorni di un piumaggio.  Sono bellissimi. Uno, in particolare, emerge tra gli altri.  E’ il più estroverso, il più carismatico, quello che nelle danze continuerà a mettersi in mostra.  Li illuminiamo con i fari delle auto e vediamo brillare prima di tutto la loro gioia, la loro energia, il loro orgoglio.  I bambini sono eccitatissimi e premono per avanzare. Ogni tanto qualcuno finge di minacciarli con un bastone, loro si allontanano di qualche centimetro gridando per  ricominciare a spingere e ad avanzare subito dopo.  La confusione e l’entusiasmo salgono al massimo, l’eccitazione pervade ballerini e pubblico in un unico brivido.  I ballerini avanzano e retrocedono con un movimento ipnotico e sinuoso.  Ogni tanto da soli o a coppie, i più audaci si staccano dal gruppo ed avanzano scuotendo le spalle, spalancando gli occhi resi più espressivi dal kajal, fanno vibrare le labbra in modo che risalti il bianco dei denti.

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Sono Wodabee, pastori del cielo, non Bororo, pastori straccioni, come li definiscono con disprezzo i popoli sedentari.  Quando le luci si spengono, anche la festa piano piano si esaurisce. Felici, andiamo tutti a dormire per qualche ora, consapevoli che all’alba del giorno dopo, ogni famiglia, smontato il sudu e raccolte le poche cose, si avvierà con la propria mandria verso nuovi pascoli.  E’ il momento della transumanza, l’eterno rito che da millenni si ripete identico.  Andiamo anche noi a vederli passare. E quello a cui assisto è uno spettacolo che mi sconvolge e mi commuove. Rappresenta l’esplodere della vita in tutta la sua potenza, inarrestabile.  Ai bivi i cavalli vengono lanciati al galoppo, affinchè le mandrie, galoppando anch’esse, non si disperdano.  Accanto alle cavalle ci sono i puledri, con le vacche ed i vitellini, con le pecore e gli agnellini.  I più teneri, quelli appena  nati, stanno in braccio ai bambini, che con le loro mamme cavalcano gli asinelli . Mi viene in mente l’iconografia della Madonna sull’asino e San Giuseppe e, in effetti, a parte cellulari e pannelli solari orgogliosamente portati sulla testa, niente distingue questi pastori dai loro antenati di duemila anni fa.

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Ogni tanto qualcuno di loro si stacca per un attimo dalla mandria e viene a salutarci con affetto. Fra noi e loro c’è stato un incontro, brevissimo, è vero, ma capace di lasciare  il segno. Ripenso al ragazzo con una marcia in più, all’ uomo anziano con la nipotina, rivedo il volto della donna anziana che mi ha abbracciato dopo aver danzato insieme e che durante la transumanza si è staccata dal gruppo per  venirmi ad abbracciare ancora una volta, e mi chiedo – dolorosamente – che ne sarà di loro. La nostra economia globalizzata non tollera il nomadismo.  Ha fame di terre e questo costringe i nomadi a spazi resi sempre più ristretti da landgrabbing e cambiamenti climatici. Erba ed acqua appaiono essenziali per il bestiame, ma proprio questo li pone in conflitto con i contadini,  in una disperata guerra tra poveri.  I pastori appaiono bellicosi,  ma in realtà sono loro che soccombono. Accade da millenni che il contadino Caino uccida il pastore Abele.  Per quanto, allora, riusciranno a vivere orgogliosi senza confini ?  Fino a quando potranno ancora definirsi Wodabee,  pastori del cielo,  e non straccioni ?  Non so rispondere, ma non per molto, temo.

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L’operatore Kanaga Adventure Tours (www.kanaga-at.com, info@kanaga-at.com, tel. 348 73 42 358), specializzato in viaggi a valenza etnografica, propone dal 22 al 30 settembre 2019 un viaggio in Ciad dedicato al Gerewol dei Bororo. Partenza confermata con accompagnatore italiano, quota da 2.090 euro, voli esclusi, programma completo su www.kanaga-at.com/ciad-etnia-hadjarai-e-gerewol-dei-bororo-katcd04ps190922/

Testo/Luciana Riggio – Foto/Irene Fornasiero


 

 

 


 

 

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