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Homepage > REPORTAGE > Santo Stefano di Sessanio (AQ), un esempio di albergo diffuso
aprile 29, 2017  |  By Giulio Badini In REPORTAGE

Santo Stefano di Sessanio (AQ), un esempio di albergo diffuso

Santo Stefano, panorama

Un po’ casa e un po’ albergo, ma in realtà né l’uno né l’altro: assai di più. L’”albergo diffuso” costituisce una nuova forma di ospitalità che utilizza immobili diversi ma all’interno di uno stesso nucleo urbano. L’aggettivo “diffuso” denota dunque una struttura orizzontale e non verticale, come quella degli alberghi tradizionali, che a volte hanno il difetto di ricordare anonimi condomini. L’albergo diffuso, anello di congiunzione tra le peculiarità del territorio, il locale patrimonio storico e architettonico e il turismo culturale, consente di soggiornare sempre in un contesto urbano di pregio, di vivere a contatto con i residenti, ma al contempo di usufruire dei normali servizi alberghieri. Rimane anche una delle rare possibilità per valorizzare borghi e villaggi di interesse storico, artistico o architettonico e di recuperare un prezioso patrimonio abitativo antico, destinato in caso contrario al degrado e al dissolvimento, prospettandogli un nuovo impiego e una vita futura nell’accoglimento turistico di qualità.

Santo Stefano, executive suite
Santo Stefano, executive suite

Un buon esempio di albergo diffuso, divenuto in un decennio un modello di riferimento per l’accurata ricettività turistica e per aver ridato prospettive ad uno dei tanti borghi storici di pregio abbandonati, spopolati e sottoutilizzati, lo si può incontrare a Santo Stefano di Sessanio, un paesino fortificato a 1.250 m di quota all’interno del Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, a 30 km da L’Aquila e a meno di 150 da Roma, al quale è stato affidato un compito ambizioso e di responsabilità: rivitalizzare un centro in abbandono e conservare e ristrutturare un patrimonio architettonico di gran pregio. Non stiamo parlando di un posto qualsiasi: Santo Stefano è uno dei borghi medievali di maggior interesse e suggestione dell’Appennino abruzzese, annoverato di nome e di fatto nel Club dei borghi più belli d’Italia. La sua storia parte da lontano, da un insediamento romano del IV sec. a.C. che gli dà il nome, il pagus di Sextantio, situato lungo antiche direttrici commerciali da Roma al Tirreno e importante per la transumanza tra i pascoli abruzzesi e quelli del Tavoliere pugliese. Nell’Alto Medioevo beneficiò delle bonifiche delle terre operate dai frati benedettini del vicino Campo Imperatore, fondamentali per l’agricoltura e la pastorizia. In seguito questo nido d’aquila del Gran Sasso divenne feudo delle famiglie fiorentine dei Piccolomini prima e dei Medici poi, che lo fortificarono. Fu il suo periodo d’oro, durato quasi tre secoli: il paese, ricco di enormi armenti, produceva un’ottima lana nera carfagna, che i Fiorentini acquistavano, lavoravano e poi rivendevano come stoffe in tutta Europa. Poi entrò a far parte del patrimonio privato del re di Napoli e quindi del regno d’Italia; ma la fine della transumanza dalla Puglia, la crisi economica e l’emigrazione massiccia lo svuotarono, minacciandone la stessa sopravvivenza, affidata ad un centinaio di abitanti in età avanzata.

Santo Stefano, suite
Santo Stefano, suite

La configurazione urbana di questo borgo dal fascino fiorentino, ma dal ruvido cuore abruzzese, di questa sorta di Tibet aquilano in quell’Abruzzo interno e montano da sempre marginalizzato come terra di eremiti e di briganti, di orsi e di lupi, figlio di economie curtensi e culture autoctone poco inclini alle influenze esterne, risale al periodo centrale del Medioevo, quando si sviluppa il fenomeno dell’incastellamento: borghi d’altura circondati da un perimetro murario fortificato, tipici del paesaggio montano dell’Italia centrale. Ma se l’impianto urbanistico è medievale, numerose sono le stratificazioni di elementi architettonici proto-rinascimentali, dovuti in particolare alla presenza toscana: strade porticate per proteggere dai rigori invernali, scalinate e tortuosi selciati, pozzi e fontane, corti e patii, loggiati, portali ad arco, graziose finestrelle a bifore, balconi a mensola e camini, il tutto  nella grigia pietra calcarea locale. Autentici monumenti sono il quartiere ebraico, la quattrocentesca Casa del Capitano, la torre trecentesca purtroppo in parte abbattuta dal terremoto del 2009, la duecentesca chiesa di Santa Maria e la Chiesa Matrice del XIV-XV sec., anche se sono ancora evidenti i danni provocati dal terremoto del 2009 assai apprezzate da una clientela internazionale.

Santo Stefano, ristorante
Santo Stefano, ristorante

Quando tutto sembrava avviato verso un ineluttabile processo di decadimento, nel 2004 capitò in paese un giovane imprenditore italo-svedese con tanto di laurea in filosofia, Daniele Kihlgen, che se ne innamorò. Acquistò diversi edifici, quasi un terzo del borgo, li ristrutturò con l’intervento di esperti professionisti usando rigorosamente materiali antichi e originali per trasmettere l’estetico rigore dell’arte povera della montagna abruzzese e diede il via ad un primo nucleo di albergo diffuso con alcune camere ospitate in un palazzo rinascimentale e in una casa-torre medievale, con internet ma anche con camino a legna in ogni stanza, ad un ristorante alloggiato sotto gli archi dell’antica cantina e ad una sala per manifestazioni culturali. Oggi le camere sono 27, assai apprezzate da una clientela internazionale, spaziose e confortevoli, quasi l’intero paese trasformato in albergo, impregnate di un forte potere evocativo del passato, dove i camini a legna, i soffitti a travi e i pavimenti in cotto, legna e pietra con i segni dell’usura del tempo si mischiano a moderni accorgimenti come il teleriscaldamento radiante, l’illuminazione a controllo telecomandato e i collegamenti multimediali non visibili, ma anche con materassi in lana, asciugamani, lenzuola e tovaglie ricamati degli antichi corredi familiari, le coperte dai colori naturali realizzate con i tradizionali telai domestici.

Santo Stefano, classic room
Santo Stefano, classic room

Come ben si sa, da cosa nasce cosa e ogni iniziativa ne trascina inevitabilmente altre. Pian piano hanno cominciato ad aprire botteghe di artigianato artistico tradizionale (oreficeria, tessitura, tombolo, ceramica), negozi di prodotti enogastronomici tipici, ristoranti per la valorizzazione della cucina locale, basata sulla miglior qualità di lenticchie, ma anche su ceci, farro, zafferano, aneto e pastinache, su salumi e formaggi, pane e paste fatte a mano, su mandorle e tartufo nero. Qualcuno sta ritornando, altri edifici vengono recuperati e il turismo, con a disposizione le piste sciistiche di Campo Imperatore o i sentieri del Gran Sasso, sembra poter regalare nuove, inimmaginabili, prospettive. E con la rinascita urbana anche la cultura sembra trovare nuovi spazi. Nell’estate del 2010 ha ospitato il Festival internazionale di musica medievale e rinascimentale e nel 2011 la trasferta di 23 opere d’arte della fiorentina Galleria degli Uffizi, da Tiziano a Balla: un successo di pubblico che ha costretto il prolungamento dell’esposizione per ulteriori due settimane. A riprova del fatto che le migliori risorse rimangono sempre le buone idee. La validità dell’iniziativa viene certificata da altri due fatti: dopo Santo Stefano Daniele Kihlgen ha realizzato, e con ottimi risultati, un altro suggestivo albergo diffuso nei Sassi di Matera, sito Unesco (tel. 0835 33 27 44, www.legrottedellacivita.sextantio.it), recuperando 18 grotte e una chiesa rupestre, mentre il borgo abruzzese ha fatto da sfondo al film tv Piccoli segreti, grandi bugie, andato in onda su Rai Uno il 15 dicembre 2016.

Santo Stefano, tisaneria
Santo Stefano, tisaneria

Il soggiorno (info: www.sextantio.it, tel. 0862.899112, santostefano@sextantio.it), da improntare al relax e allo slow travel, non prevede la noia: attorno c’è un intero paese da scoprire, da ammirare nei suoi pregi architettonici, da apprezzare nei suoi sforzi di rinnovamento, c’è una cucina gustosa e genuina da assaporare, c’è un parco nazionale da percorre a piedi, in auto, a cavallo, in mountain bike.

Testo/Giulio Badini – foto/ Sextantio


 

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