Il desiderio di un amico americano di vedere i luoghi dove il nonno aveva combattuto contro i nazifascisti, mi ha portato a vivere una domenica da non dimenticare. Destinazione: Abbazia di Montecassino, meta turistica con oltre un milione di visitatori l’anno. Badia Montis Casini, come si chiamava in origine, fu edificata nel 529 sui resti di un’acropoli romana da San Benedetto (Norcia 480 – Montecassino 547). Copre un’area di 2 ettari ed è il maggiore dei 13 monasteri da lui fondati. Per nascita è secondo solo a quello di Subiaco, intitolato al “Sacro Speco”, cioè la grotta dove Benedetto visse in isolamento e preghiera per tre anni cercando il vero senso della parola di Cristo, e alla sorella gemella “Santa Scolastica”, che lì fondò l’Ordine delle Monache Benedettine.

La vita monastica si basa sulla “Regola dell’Ordine Benedettino”, una guida materiale e spirituale scritta secondo i princìpi enunciati dal San Benedetto, raccolta in 73 capitoli, di cui il più famoso è “Ora et Labora” (prega e lavora), dove il lavoro è un mezzo per avvicinarsi a Dio. Nell’Abbazia vivono circa 25 monaci e novizi che si occupano anche del vicino cimitero militare polacco ai piedi di Monte Calvario. Nel gennaio 2023 Papa Francesco ha nominato Abate ordinario di Montecassino Dom Antonio Luca Fallica.
San Benedetto è il principale Patrono d’Europa e fu nominato da Papa Paolo VI il 24 ottobre 1964, durante la riconsacrazione della Cattedrale. Poi Papa Giovanni Paolo II ne nominò altri 5: i santi Cirillo e Metodio a fine 1980 e nel 1999 S. Brigida di Svezia, S. Caterina da Siena e S. Teresa Benedetta della Croce.

Arrivare a Montecassino in auto non è difficile perché dista 140 km da Roma e 100 da Napoli. Dall’A1 si esce a Cassino sulla via Casilina (Ss 6), strada romana costruita nel 350 a.C. per mettere in comunicazione Roma e Napoli. Poi si prende la Ss149 per 9 km e 7 tornanti fino all’Abbazia. Però prima della 2a Guerra mondiale era più facile arrivarci, grazie alla funivia che da Cassino Fs portava al luogo sacro. Fu inaugurata il 21 maggio 1930 e la cabina per 10 persone percorreva il tratto di 1511 m e i 450 m di dislivello in 7 minuti. Ma nel luglio 1943 un aereo tedesco in esercitazione ne tranciò un cavo prima di schiantarsi: fu la sua fine e non venne più ricostruita. Però da tempo c’è un progetto per una moderna funivia tra il centro di Cassino e l’Abbazia, realizzato dallo studio G22 Projects di Lana (Bz) su incarico della Leitner di Vipiteno (Bz), tra i leader del settore. Con una capacità di oltre 1000 passeggeri l’ora, in meno di 4 minuti raggiungerebbe l’Abbazia, sfoltendo di molto il traffico stradale. Accolto favorevolmente da tutti, il progetto è stato rispolverato più volte ma vaga ancora nei labirinti della burocrazia.

La pietra bianca dell’Abbazia si nota da lontano. Dai suoi 516 metri slm. domina la Valle del Liri fino al mare ed è lì che nel I secolo d.C. i Romani costruirono l’acropoli di Casinum (l’attuale Cassino), città di cui sono visibili nell’Area archeologica i resti delle mura poligonali, il mausoleo della matrona Ummidia Quadratilla, del teatro e l’anfiteatro. Poi c’è il Museo Archeologico, con reperti che vanno dalla preistoria all’epoca romana e oltre.
Salendo s’incontrano splenditi panorami e poi lei: la Rocca Janula, una fortezza del X secolo sorta a difesa del monastero. Anche la Rocca Janula fu vittima delle bombe alleate del 15 febbraio 1944 e si salvarono solo la torre pentagonale, parte delle mura e di alcuni edifici all’interno. Il 25 settembre 2015, dopo un lungo lavoro di ricostruzione (1996-2013), è stata riaperta al pubblico ed è sede di mostre, eventi culturali e rievocazioni storiche.

Per chi ama il trekking c’è il Cai 802, un percorso di 2,8 km con dislivello di 243 metri, che inizia dal 2° tornante della Ss 149 e prosegue sul fianco est del colle fino all’Abbazia. Un sentiero tra la storia e le storie di questi luoghi, che termina davanti a una croce di legno accanto a un masso detto il “ginocchio di San Benedetto“, dove sarebbe impressa l’impronta del ginocchio del Santo, fermatosi a pregare prima di accedere all’area pagana dell’acropoli. Ma in tempi di Giubileo si potrebbe tentare anche il Cammino di San Benedetto, circa 300 km da Norcia a Montecassino, con 16 tappe in luoghi che hanno segnato il martirologio cattolico, da S. Francesco d’Assisi a S. Chiara, S. Rita da Cascia o S. Tommaso d’Aquino. Dall’Umbria al Basso Lazio, tra valli e boschi, fiumi e laghi, montagne e borghi medievali, passando su strade dove si è scritta la storia del monachesimo cristiano.

All’Abbazia il parcheggio costa 3 euro. Salendo a piedi ci accoglie la statua di S. Benedetto, realizzata da Nino Galizzi, ma dal giardino dov’è il monumento “In memoria delle vittime civili del martirologio di Cassino 1943-44”, ci fanno le feste dei gatti. Sopra il grande portone con la scritta rossa Pax c’è l’emblema in marmo dell’Abbazia, ma da qui non entrano visitatori. Guardando dentro s’ intravede la lunga scalinata che porta verso una luce in alto. Passata la cancellata in ferro battuto si va verso l’entrata. La visita all’Abbazia è gratis ma il Museo si paga e il biglietto si fa all’Ufficio informazioni, dove ci sono anche guide poliglotte. La visita guidata va prenotata e nel costo è incluso l’ingresso al Museo.

Il monastero nacque sui resti romani: la prima chiesetta a tre navate dedicata a S. Martino di Tours, fu edificata sul Tempio di Giove e l’oratorio di S. Giovanni Battista sull’altare di Apollo. L’area oggi è quella del chiostro di S. Martino, dal cui porticato scende la lunga scalinata vista dal portone alla base. Il sotterraneo fa parte delle ciclopiche mura romane e le pareti sono costellate da frammenti marmorei recuperati nella ricostruzione. La torre di guardia servì per i primi alloggi dei frati come per la cella del Santo, poi affrescata nel 1952 da Agostino Pegrassi, con scene evocative sulla vita di S. Benedetto. In particolare la visione della morte della sorella, la resurrezione del giovane monaco e la preveggenza sulla distruzione dell’Abbazia da parte dei Longobardi, che avvenne nel 577: trent’anni dopo la sua morte. Nel sotterraneo accanto c’è un blocco di marmo detto la “Roccia dei miracoli”, perché da qui uscirono vive dal bombardamento circa 300 persone.

Chiostro deriva dal latino claustrum e indica un luogo chiuso tipico di monasteri e conventi. Tra i chiostri dell’Abbazia, quello di S. Martino è il primo che s’incontra e questo santo ebbe molta influenza su S. Benedetto come guida morale e spirituale. Una devozione legata all’episodio della beneficenza fatta durante una ronda notturna nell’inverno del 335 a un povero infreddolito, a cui donò metà del suo mantello da militare romano. Poi in sogno vide che l’aveva donato a Gesù e al risveglio si accorse che il mantello era ancora integro. Questo lo convinse a diventare cristiano, dedicandosi ad opere di carità.
Il fondatore del monachesimo occidentale morì qui e lo ricorda il gruppo scultoreo in bronzo “Morte di San Benedetto”, realizzato nel 1970 da Attilio Selva su incarico dell’allora cancelliere tedesco Adenauer.

Sotto il porticato c’è la replica del grande mosaico policromo disegnato e realizzato da frate Vignarelli a fine XVI secolo, che raffigura Cristo tra la Madonna e S. Martino. Perso nel 1944, fu ricostruito grazie ai disegni originari.

Il chiostro del Paradiso è detto anche del Bramante, perché il progetto finale fu realizzato da questo grande architetto del Rinascimento, ma terminò dopo la sua morte. Il nome deriverebbe dal greco Paràdeisos” (Paradiso), perché lo spazio oggi pavimentato, un tempo pare fosse un florido giardino. In mezzo il puteale ottagonale del pozzo in marmo lavorato e arricchito da due colonne corinzie, unite da un architrave romano e uno stemma in pietra sopra. Sotto, la grande cisterna del XVI secolo, usata come riserva d’acqua. La grande scalinata sale verso il portico del chiostro dei Benefattori da cui si va alla Cattedrale, passando tra le statue dei papi Urbano V e Clemente XI, benefattori dell’Abbazia. Alla base della scalinata le due statue in marmo realizzate nel XVIII secolo da Paolo Campi da Carrara. A sinistra quella di S. Benedetto, ritrovata quasi integra dalle bombe, con la “Regola monastica” nella mano destra, il pastorale nella sinistra e il corvo ai piedi che, secondo la leggenda, rubandogli il pane avvelenato lo salvò. A destra c’è invece la copia di quella di S. Scolastica, che fu distrutta assieme al portico che aveva le volte affrescate sulla vita di S. Benedetto e la terrazza panoramica di sopra.

Il Chiostro dei Benefattori, realizzato su disegno di Antonio da Sangallo il Giovane nel XVI secolo, è la “porta d’accesso” alla Cattedrale. Anche qui c’è un pozzo con un puteale ottagonale e una cisterna simile a quella chiostro del Paradiso. Sotto il portico con le colonne di granito forse di epoca romana, 24 nicchie con le statue dei “benefattori”. Oltre a S. Benedetto, S. Scolastica e i loro genitori, Eutropio e Nursina, ci sono papi, santi, nobili e sovrani che hanno contribuito al bene del monastero.

La cattedrale di S. Maria Assunta e S. Benedetto Abate nacque nel IX secolo come chiesa gotica, subendo diversi cambiamenti nel tempo fino al bombardamento del 15 febbraio 1944, ma questa non fu che l’ultima delle profonde ferite inferte al monastero di Montecassino. La prima avvenne nel 577 per mano dei Longobardi guidati da Zottone, duca di Benevento, ma l’Abbazia rinacque dalle sue “ceneri” come l’araba fenice. Ricostruita attorno al 718 sotto Papa Gregorio II, fu saccheggiata e distrutta nell’883 dai Saraceni venuti dal Cilento. A metà X secolo era di nuovo in piedi e le spesse mura resisterono al terremoto del 1231, ma non a quello del 9 settembre 1349, di magnitudo 6,8. Nel XVII secolo la nuova ricostruzione, con cambio di canoni architettonici e stilistici. Quella interna alla basilica fu affidata all’architetto e scultore Cosimo Fanzago che tra il 1627 e il 1649 seguì e caratterizzò gli interventi architettonici e i progetti decorativi secondo i dettami dell’epoca. Fu consacrata il 19 maggio 1727 da papa Benedetto XIII, ma nel 1799 le truppe napoleoniche guidate dal generale Jean Antoine Étienne Vachier, saccheggiarono e devastarono ancora l’Abbazia. Poi seguirono dure leggi emanate nel 1806 e 1807 da Giuseppe Bonaparte, all’allora Re di Napoli, e per Montecassino fu un periodo di decadenza, terminato nel 1815 con il ritorno al potere di Ferdinando IV di Borbone. Poi il 15 febbraio 1944 ci pensarono gli “alleati” a fare terra bruciata.

Si persero le strutture murarie, le decorazioni barocche sul soffitto a botte e le pareti, i grandi affreschi sulla vita del Santo sulla volta della navata centrale realizzati da Luca Giordano, come quelli sulle pareti e nelle cappelle. Sopravvissero nel presbiterio solo i piccoli affreschi degli Angeli realizzati nel XVI secolo dal pittore napoletano Severo Ierace, alla base del monumento funebre di Guidone Fieramosca, fratello minore del più famoso Ettore. Quello che alla guida di 13 cavalieri italiani sconfisse gli altrettanti francesi nella Disfida di Barletta.
La ricostruzione postbellica iniziò nel 1948 e grazie ai disegni originali, i progetti del XVII-XVIII secolo, le vecchie fotografie e i pregiati materiali recuperati, Montecassino risorse ancora, divenendo il simbolo della rinascita nazionale. Le attività dell’Abbazia ripresero nel 1956 con l’apertura del collegio laicale e del seminario diocesano.

La basilica è a pianta a croce latina a tre navate, di cui la centrale più grande. La facciata in pietra chiara e stile rinascimentale contrasta con la ricchezza degli interni in stile barocco napoletano. Il portone centrale dell’XI secolo è di tipo bizantino e risale ai tempi dell’abate Desiderio. I battenti, restaurati nel 1951 e ricollocati nel 1963, sono in bronzo ageminato in argento e decorati con formelle in cui sono elencati possedimenti e chiese collegati all’Abbazia. Le porte laterali – donate dall’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi – furono realizzate in bronzo nel 1951 dallo scultore Pietro Canonica e messe in opera nel 1954. In otto delle dodici formelle che le compongono sono riportati i momenti salienti della vita del Santo, mentre in basso e in ordine cronologico da sinistra, le quattro distruzioni subite dall’Abbazia.

Al posto dell’affresco del 1677 “Consacrazione dell’antica chiesa di Montecassino”, di Luca Giordano, oggi sulla parete della controfacciata c’è la “Gloria di San Benedetto”, una grande opera del 1978 realizzato da Pietro Annigoni su incarico dell’allora abate Martino Matronola. Al centro la figura di S. Benedetto con il piviale, immerso in una luce celestiale su sfondo blu cobalto. Attorno a lui una moltitudine di figure legate alla Chiesa, tra cui abati e vescovi, martiri, missionari e dottori, santi monaci e monache. Tre i papi in evidenza ai piedi dell’opera: Vittore III (a sinistra), già abate Desiderio di Montecassino; S. Gregorio Magno (a destra), primo biografo di S. Benedetto; sotto Paolo VI, che il 24 ottobre 1964 consacrò la cattedrale e nominò S. Benedetto primo Patrono d’Europa. A completare l’opera, nelle semilune in alto ci sono Abramo e Mosè, ma tra questi personaggi c’è anche lui, Pietro Annigoni, in un autoritratto nell’angolo in basso sulla destra, con il basco in testa. Lo stesso artista e due suoi ex allievi, Silvestro Pistolesi e Romano Stefanelli, hanno dipinto altri affreschi su episodi della vita di S. Benedetto in lunette e cappelle, sull’altare maggiore e nella cupola dell’abside.

Le decorazioni interne della navata sono in “marmi commessi”, una tecnica nota dai tempi dei Romani come opus sectile, per creare composizioni artistiche su pavimenti e pareti d’intarsio usando marmi di diversi colori. L’altare maggiore è in marmo bianco intarsiato, restaurato con i materiali recuperati. Qui dentro sono state traslate le spoglie dei santi Benedetto e Scolastica dalla sottostante cripta che fu scavata nel XVI secolo nella roccia viva, ed è rivestita con mosaici policromi e bassorilievi. Si è creduto che a salvarla dalle bombe fosse stata la sua struttura compatta, ma pare invece che fu un vero miracolo, perché si racconta che nel rimuovere le macerie fosse comparsa una bomba inesplosa proprio sotto l’altare maggiore. Nel presbiterio c’è il magnifico coro in legno di noce del 1635, che fu salvato prima del bombardamento e sullo sfondo l’organo Mascioni opus 693 con 5262 canne, 3 tastiere e 82 registri, inaugurato nel 1957 in sostituzione di quello monumentale del XVII secolo andato perso.

La storia di questo che è uno dei luoghi culturali più importanti d’Europa, è raccontata nel Museo, uno scrigno che racchiude preziosi reperti storico-artistici lungo un periodo che va dal 900 a.C. al 1900. Da fine 2014 l’Abbazia è tutelata dal Ministero della Cultura e sotto il controllo della Direzione Regionale Musei del Lazio. In occasione dei XV secoli dalla nascita dell’Abbazia, la città di Cassino si è candidata come Capitale della Cultura 2029.
Il Museo fu inaugurato nel 1980 per il XV centenario della nascita di S. Benedetto ed è composto da tre sezioni principali ripartite su due piani sotterranei: Archeologica, Medievale, Miniature e Stampe. In quest’ultima, che copre il periodo VI – XX secolo, ci sono rari esemplari di manoscritti, rilegature in metalli preziosi, codici miniati medievali, bozzetti, progetti e disegni delle opere andate perse, stampati, carte geografiche, documenti storici, filmati e fotografie sul bombardamento del 1944.

Ma anche incunaboli, preziosi volumi del XV secolo, stampati con la tecnica dei caratteri mobili, che mise fine alla scrittura amanuense. Fu il tedesco Johann Gutenberg a stampare in serie tra il 1454-55 con questa tecnica una Bibbia, che ebbe ampia diffusione. Grazie al salvataggio di molte opere e materiali sacri prima della distruzione, oggi possiamo capire il valore artistico ed evocativo delle opere andate perse. Tra questi la collezione di bozzetti preparatori originali realizzati da Luca Giordano, Giuseppe Cesari, Francesco De Mura, Paolo De Matteis, Sebastiano Conca, Francesco Solimena, che sono conservati ed esposti nel Museo. Oltre alle grandi foto e ai reperti bellici esposti, in una delle sale dedicate al bombardamento del 1944 viene proiettato un filmato sull’accaduto.

Ma come si salvarono quegli oggetti d’arte e preziosi? A Montecassino c’era un immenso patrimonio artistico e culturale tra cui, oltre 70mila volumi della Biblioteca, circa 80mila documenti dell’Archivio storico, reliquie dei santi, preziosi oggetti sacri, il coro ligneo, i dipinti della cattedrale, i piviali ricamati. Inoltre, nell’Abbazia erano custoditi anche beni statali e privati come il Tesoro di San Gennaro, arrivato da Napoli assieme a oggetti preziosi, tele e beni provenienti dalla Galleria di Capodimonte e dal Museo Archeologico Nazionale.
C’erano anche i documenti dell’Archivio Savoia oltre a beni e opere della Keats-Shelley House, la casa museo romana ultima dimora del poeta John Keats. Ma anche reperti del patrimonio artistico e culturale siciliano e in particolare i beni del Museo archeologico di Siracusa.

Se tutto questo si è salvato lo dobbiamo al capitano tedesco Maximilian Becker, studioso di storia dell’arte, e al tenente colonnello austriaco Julius Schlegel. D’accordo con il priore, nel 1943 fecero imballare tutto, da trasferire poi in Vaticano. Ma Becker s’accorse che già erano state trafugate alcune casse su ordine di Göring e in segreto si stava operando per trasferire tutto in Germania, nella residenza di campagna del gerarca. Rischiando la vita, Becker informò la Curia Romana e tutto andò a buon fine dopo l’intervento del feldmaresciallo Kesserling, comandante in capo tedesco in Italia.

Serviva distruggere Montecassino? La domanda se la sono fatta in molti e la risposta è ancora in bilico, ma l’analisi storica ci dice che questo fu un altro errore strategico degli alleati in Italia, a cominciare dallo sbarco di Anzio, quando invece di puntare subito su Roma si consolidarono le posizioni sul posto, dando al nemico il tempo di rinforzarsi e contrattaccare. Il 15 febbraio 1944 due ondate di aerei B-17, B-25 e B-26 sganciarono sull’area circa 450 tonnellate di bombe e dopo le 14,15 dell’Abbazia era rimasto solo un cumulo di macerie. Ma quella distruzione invece favorì il nemico, perché su quella spianata i tedeschi piazzarono i loro cannoni e mitragliatrici, bloccando per mesi l’avanzata dei “liberatori”. Come descritto da Alberto Turinetti di Priero nei suoi articoli sulla Battaglia di Montecassino, il bombardamento fu uno degli atti più controversi della 2a Guerra mondiale e coinvolse nelle accese discussioni i comandi alleati. Il generale americano Mark Clark e quello francese Alphonse Juin, contrari, dovettero infine accettare la decisione del generale Alexander, comandante alleato in Italia, ma poi arrivarono le “lacrime di coccodrillo”. Infatti anche dalle riprese aeree oggi negli Archivi dell’Istituto Luce, era chiaro che nell’Abbazia c’erano solo monaci e gente rifugiata.

L’Albaneta di Montecassino è l’area agricola e boschiva di quasi 300 ettari che appartiene ai monaci benedettini. Una zona ricca di storia dove, oltre all’Abbazia, nacquero attorno al X secolo piccoli monasteri come quelli di San Matteo Servorum Dei e di Santa Maria dell’Albaneta – poi distrutta dalle bombe – che nel 1538 ospitò il fondatore dei Gesuiti, Sant’Ignazio di Loyola. Qui passava la Linea Gustav, costruita dai tedeschi per rallentare l’avanzata degli Alleati e tra gennaio e maggio 1944 vi si svolse gran parte della Battaglia di Montecassino. L’area del monastero fu liberata il 18 maggio dai soldati polacchi, di cui 1.115 sono seppelliti nel loro Cimitero militare, assieme alle ceneri del generale Władysław Anders, il loro comandante morto a Londra nel 1970. Passiamo presso quella grande croce che si vede da lontano, mentre andiamo alla Masseria Albaneta per pranzare nell’agriturismo e ci si emoziona a pensare che qui morirono migliaia di soldati per la nostra libertà.

L’asprezza della battaglia è nell’immagine della carcassa di un carrarmato Sherman del 4o Reggimento Corazzato polacco “Skorpion”, distrutto da una mina con il suo equipaggio. Oggi è un memoriale e la croce che la sovrasta è fatta coi cingoli distrutti. Più in alto, a “quota 593” di Monte Calvario, c’è l’obelisco in marmo bianco che ricorda i soldati morti del 3o Dywizja Strzelców Karpackich, la terza divisione fucilieri dei Carpazi. Sul basamento è scritta in quattro lingue una frase del poeta e soldato polacco Bolesław Kobrzyński, “Per la vostra e nostra libertà, noi soldati polacchi abbiamo dato a Dio l’anima, alla terra italiana il corpo e il cuore alla Polonia”. Dal 1980, sotto il monumento c’è anche l’urna con le ceneri del generale Bronisław Duch, che ne fu il comandante.

Oltre a questo polacco, ci sono altri 5 cimiteri di guerra in provincia di Cassino: italiano (Mignano Monte Lungo), francese (Venafro), del Commonwealth a Cassino e il Sacrario Tedesco di Caira, con oltre 20mila soldati tedeschi e austriaci morti in difesa della linea Gustav.
Testo e foto/Maurizio Ceccaioni – Si ringrazia l’Associazione amici di San Benedetto per la foto d’apertura e il contributo informativo all’articolo.
