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Homepage > CULTURA > MOSTRE > Belluno e le montagne care a Dino Buzzati
novembre 29, 2021  |  By Monica Guzzi In CULTURA

Belluno e le montagne care a Dino Buzzati

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“Questa è la casa dove sono nato, questi i prati dove ho imparato a camminare, le piante tra cui bambino ho combattuto le prime battaglie coi pellerossa, le immagini, i momenti, le luci, le voci da dove sono venuti i primi presentimenti, le prime esaltazioni spirituali. Da queste erbe, cespugli,alberi, fossati, viottoli, muri, stanze, corridoi, scale, libri, mobili, fienili, solai,ho ricevuto le prime poesie”.

 Casa di Dino Buzzati
Casa di Dino Buzzati

Così lo scrittore e giornalista Dino Buzzati raccontava le radici della sua vocazione letteraria nella sua casa a pochi chilometri dal centro di Belluno. Era la casa domenicale della famiglia, dove i Buzzati si recavano per passare il fine settimana in campagna, sotto l’ombra maestosa della Schiara, la montagna per antonomasia dello scrittore. Il 2022 per Belluno sarà una data da ricordare, visto che da qui  passeranno le celebrazioni in ricordo dei 50 anni della morte del celebre inviato del Corriere della Sera. Non  caso tra le prime iniziative previste ci sarà anche un corso di aggiornamento per giornalisti.

 Valentina Morasutti
Valentina Morasutti

Sarà anche un’occasione per visitare la casa della sua infanzia e della sua maturità. Oggi la villa cinquecentesca è gestita dalla nipote Valentina Morasutti con la sorella, che vi hanno ricavato anche un piccolo bed and breakfast (la camera costa 85 euro) e organizzano nel famoso granaio  diverse attività in nome dell’autore del “Deserto dei tartari”. Aperti ogni prima domenica del mese da aprile a ottobre per le visite private, oltre ad iniziative per gruppi e associazioni e letture nel granaio. Nella chiesetta di famiglia c’è anche la lapide, ma non le ceneri, che forse sono state sparse dalla moglie sulle montagne. “Dino riusciva a trascorrere qui molto tempo – racconta la nipote – . La fascinazione di questo luogo ha segnato tutta la sua letteratura, dove arrivava da giovane e anche più tardi con la moglie Almerina, di 35 anni in meno. Qui è nata la passione per la montagna che ne caratterizzò tutta la vita”. A lui è dedicato anche un sentiero di otto chilometri che parte da Giaon di Limana, dove si trovano le case affrescate da artisti ispirati ai suoi racconti, come “I miracoli di Val Morel”.

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Ma non è questo l’unico motivo per visitare Belluno, la “città splendente”, dalle parole celtiche belo e dolum. Ci troviamo infatti nella capitale delle Dolomiti Unesco, unico capoluogo ad avere vette considerate Patrimonio dell’Umanità. Un luogo da conoscere per i percorsi naturalistici, il cibo, ma soprattutto per il fascino della sua storia. A prima vista sembrerebbe una città di montagna, ma le sue facciate ne rivelano l’impronta veneziana, evidente soprattutto nei palazzi che si affacciano sulla piccola piazza delle Erbe, che ancora oggi ospita ogni mattina un piccolo mercato.

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Un tour in centro non può prescindere da piazza dei Martiri, oggi il salotto “buono” della città. Anticamente conosciuta come Campedèl o Campitello, è stata nei secoli utilizzata come mercato del bestiame, sede delle numerose fiere cittadine e campo di Marte dove si svolgevano le attività militari, data la sua posizione appena fuori dalle mura cittadine che si trovavano lungo il lato sud della piazza. La sua forma ellittica è dovuta, secondo la tradizione, alla posizione della bombarda su una delle torri del castello, che dominava lo spiazzo a sud–ovest, verso il fiume Piave. L’attuale piazza dei Martiri deve il suo nome ai quattro giovani partigiani che sono stati uccisi dai soldati nazisti il 17 marzo del 1945. Oggi per i Bellunesi questa piazza è il cosiddetto “listòn”, la passeggiata lungo i portici dove ci si incontra tutti.
Da non perdere Duomo e campanile, palazzo dei Rettori, torre civica, porta Dojona piazza del mercato, chiesetta della Salute, porta Rugo, fino alla chiesa di Santo Stefano. Fra portici, chiese e palazzi, emergono le sculture in legno di cirmolo  (facile da trovare, morbido da intagliare e difficilmente attaccabile dai tarli), ma all’apparenza sembrano marmo, di Andrea Brustolon, considerato nel Seicento il Michelangelo del legno. Venne così definito da Honoré de Balzac, a sottolineare la sua bravura nell’intaglio.  Ha realizzato molte opere per la città tra cui i due bellissimi angeli reggilampada della chiesa di Santo Stefano che sembrano scolpiti nel marmo e le due grandi pale bianchissime della chiesa di San Pietro. Tra le sue opere anche i 12 seggioloni con i segni zodiacali che oggi si trovano nel Palazzo del Quirinale a Roma.

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Una tradizione, quella della scultura del legno, che ispira il simposio Ex Tempore, che ogni autunno porta artisti da tutto il Paese ma anche da Oltralpe a sfidarsi all’aperto per ottenere il premio della scultura più bella.
Belluno fu anche un porto fluviale. Qui infatti arrivavano gli zattieri: percorrendo il Piave portavano il legno delle foreste della zona fino a Venezia, dove le zattere venivano smontate proprio per utilizzarne la materia prima. A ricordarlo, una piccola chiesa trecentesca dedicata a San Nicolò, patrono degli zattieri, oltre a un ciclo di affreschi moderni che affianca la passeggiata lungo il fiume.
Terra di birrifici, lattifici, pastfici artigianali, senza contare il vino e le distillerie, con vetrine storiche in centro. Tra i suoi piatti tipici il pastin, un impasto di bovino e suino che viene servito con la polenta di mais sponcio. Altro protagonista della tavola bellunese è lo schiz, formaggio cotto. E poi i funghi e lo strudel di mele.

Bus del Busone
Bus del Busone

Suggestive anche le zone naturalistiche, primo fra tutti il Bus del Buson, una stretta gola di origine preglaciale raggiungibile al termine di una camminata fra boschi e montagne. Qui in origine scorreva l’Ardo, torrente bellunese che dopo l’era glaciale si è spostato più in basso. Il torrente ha scavato un canyon profondo dove vengono organizzati anche piccoli eventi. Poco lontano il Pont de la mortis, dove secondo la tradizione le streghe celebravano i loro riti sabbatici.

Testo e foto/Monica Guzzi


 

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